Franco Bardi
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Tre piccoli borghi, con poche centinaia di abitanti e a poca distanza l’uno dall’altro, corrispondono a stili di vita diversi: ognuno ha la sua vocazione, il suo santo o beato, un museo. Trequanda si lega a un grande allevamento di Chianina, Castelmuzio alla coltivazione dell’olivo, Petroio alla realizzazione della terracotta. Attività in parte complementari: si producevano orci – con una forma che era il timbro di fabbrica di Petroio – anche per contenere l’olio di oliva locale. Tessuto connettivo tra queste realtà è il territorio, così intatto da ricevere il riconoscimento di “Paesaggio rurale storico” da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali: grazie all’origine mezzadrile, ci ha restituito un incontaminato paesaggio policolturale. E ancora, Trequanda è legata ai miracoli della beata Bonizzella Cacciaconti, Petroio al predicatore Brandano, Castelmuzio alle frequentazioni di San Bernardino da Siena. Gli abitanti fanno, orgogliosi delle proprie tradizioni, cercano di valorizzare il luogo di origine. Castelmuzio è diventato un “borgo salotto” pieno di attenzioni e piacevoli sorprese per i visitatori e, mentre le donne del posto continuano a realizzare i lunghetti (variante locale di pici), i giovani si organizzano: danno vita a piccoli e grandi eventi e, a Petroio, a una cooperativa che gestirà un albergo diffuso.
La prima citazione di Trequanda risale al 1198, sebbene il toponimo sia etrusco, forse riferibile all’eroe Tarkonte. A causa della sua ubicazione sulla via che nel Medioevo collegava Siena a Chiusi, via Asciano, fu spesso al centro di varie vicende belliche. Nel XII secolo risulta soggetta ai conti Schialenghi Cacciaconti. Venduta più volte e, nel 1318 apparteneva ai Tolomei. Attualmente, un grande castello occupa gran parte del centro abitato, e non si può certo ignorare la bellissima chiesa della piazza principale. Castelmuzio si chiamava in origine Casal Mustia, poi divenuto Castel Mozzo forse a causa della imponente torre che lo caratterizza. Se ne parla in un documento del 1213, come proprietà degli Scialenga, già signorotti delle vicine Montisi e di Petroio. Dopo essere passato nel 2170 alla Repubblica di Siena, diventa proprietà del Santa Maria della Scala fino al 1470, quando il castello viene acquistato da Andrea Piccolomini. Il luogo non è banale: offre un affaccio straordinario sulla campagna che guarda Pienza, Montepulciano e il Monte Amiata. Petroio potrebbe riferirsi all’etrusco Petruno, o al latino Preatorium. Nell’alto medioevo era “Castro Pretorio” con la chiesa di San Pietro riunita come parrocchia alla pieve di Sant’Andrea di Abbadia di Sicille (altro toponimo etrusco). In ogni caso, di questo antico castello si hanno notizie certe dal 1180. Dagli Scialenga passò, verso la fine del Trecento, ai Salimbeni quindi ai Piccolomini Bandini, per poi tornare sotto la diretta giurisdizione senese. Il borgo incantevole, dominato da una torre che si raggiunge da un’unica strada a spirale, presenta chiese notevoli e il Palazzo pretorio, che ospita l’originale museo della terracotta.
La qualità paga sempre
Tutti facevamo i vasi, dentro al paese
Il misticismo e l’orgoglio dell’appartenenza
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